Miti da sfatare

Vi hanno mai detto di avere una memoria da pesce rosso? 
Ebbene, se pensate che abbiano una memoria di qualche secondo vi sbagliate: uno studio israeliano del 2009 ha dimostrato che i pesci rossi possono trattenere informazioni fino a 5 mesi! Ricordatelo la prossima volta che incontrerete una persona un po’ smemorata.

1b51c6ebfafdf078c3b6eedd41901a4b

Se volete aumentare le vostre capacità intellettive, ascoltare la musica classica potrebbe non essere la soluzione. Recentemente, infatti, si è scoperto che lo sviluppo di una maggior perspicacia è solamente temporaneo e svanisce in pochi minuti. Insomma, se volete un aiuto per una verifica di matematica sarà meglio darsi da fare e finirla in fretta!

302d4d8b3e6008463a369406d1abefbb9366

Braccio di Ferro non è certo così forte grazie agli spinaci: questa verdura, infatti, contiene molto meno ferro di quanto ne contengano le lenticchie o i tuorli d’uovo. Questa errata credenza risale alla fine dell’800 quando un ricercatore americano sbagliò a scrivere il numero di milligrammi di ferro contenuti nelle foglie di spinaci che da 3 diventarono 30.

popeye-wallpaper

A chi non è mai capitato di trovare un uccellino caduto dal nido? Il dubbio è da sempre: la madre lo rifiuterà dopo il contatto umano? Ebbene, la maggior parte dei pennuti ha un olfatto poco sviluppato, dovuto ai piccoli nervi olfattivi: il pericolo di rifiuto è veramente limitato.

05_0220kashmir20feeding

E che dire dei girasoli? Quando sono in fase di gemmazione, seguono il corso del Sole lungo l’orizzonte. Ma quando sbocciano, il fiore rimane sempre rivolto verso Est, forse per difendere i semi dai raggi più caldi cui sarebbero esposti a sud e ad ovest, nelle giornate estive. Le foglie continuano invece il loro comportamento eliotropico, seguendo il Sole, come, tra l’altro, ogni pianta che si rispetti.

giras01

Un piccolo Einstein non bravo in matematica? La scusa perfetta per un brutto voto! Ma purtroppo non è vero; Einstein infatti ha mostrato doti nettamente superiori ai suoi coetanei fin dalla tenera età di 12 anni quando dimostrò il teorema di Pitagora. Il “falso mito” è dovuto alla sua bocciatura ad un esame di ammissione in una scuola, questa solo perché si era presentato a una età inferiore a quella prevista.

albert_einstein_quotes

Mangiamo davvero 8 ragni vivi mentre dormiamo? Ovviamente no, il ragno, come ogni essere vivente cerca di sopravvivere e la bocca umana non è un habitat ideale! Inoltre i ragni per cacciare attuano il cosiddetto s it and wait, o vvero prepara la sua tela e aspetta che la sua preda vi rimanga incastrata. In realtà questa credenza nasce negli anni 90’, quando un giornalista, per testare la potenza della disinformazione in rete, la divulgò.

eating-spiders-in-your-sleep-ealuxe

Cercate la stella polare, ma non riuscite a capire quale sia la più luminosa tra le stelle che vedete? Ebbene, oltre a rendere la ricerca della stella più difficile di quanto sia in realtà, vi state avvalendo di una credenza popolare del tutto falsa. Polaris, infatti, rientra solo nella “top fifty” delle stelle più luminose del cielo notturno. Possiamo, però, concederle il primato fra le stelle che brillano di più vicino al polo nord celeste, il corrispettivo del polo nord sulla sfera celeste.

find-the-north-star-step-4-version-2

Silvia Allegri, Silvia Mirabile, Emma Pignacca, Chiara Tognasso

Ricalibriamo la bussola!

Da studi sulla magnetosfera emerge che il campo magnetico terrestre si sta indebolendo; tra gli scenari possibili c’è una imminente inversione dei poli magnetici del nostro pianeta. Quali conseguenze potrebbe avere questo fenomeno sulla vita degli abitanti della Terra?

La Terra ha un campo magnetico. Questo campo energetico è simile a quello che genererebbe un magnete posto nel centro del nostro pianeta, con asse inclinato di 11,5° rispetto all’asse di rotazione terrestre. I poli magnetici terrestri, quindi, non coincidono con quelli geografici e non sono statici.

Il campo geomagnetico estende la propria influenza per centinaia di migliaia di chilometri nello spazio intorno alla Terra, generando uno scudo magnetico chiamato magnetosfera che, insieme all’atmosfera, svolge una funzione protettiva nei confronti delle particelle ionizzate emesse dal Sole (vento solare). L’interazione tra il vento solare e la magnetosfera produce numerosi effetti, come ad esempio l’aurora polare.

Il magnetismo terrestre ha una notevole importanza per la vita sulla Terra: grazie alla magnetosfera, la maggior parte dei raggi cosmici e di tutte le particelle cariche vengono deviate e non arrivano al suolo. Se queste particelle raggiungessero in massa la superficie causerebbero l’insorgenza di malattie gravi, come ad esempio i tumori alla pelle.

Magnetosphere_rendition

Il campo magnetico terrestre subisce periodiche inversioni di polarità, in cui la posizione dei poli magnetici si inverte. Queste inversioni lasciano tracce nelle rocce e nell’orientamento dei minerali ferromagnetici contenuti nelle suddette.

Negli ultimi 76 milioni di anni i poli si sono invertiti almeno 171 volte!

L’ultima inversione si è verificata circa 786000 anni fa.

Attualmente, ci sono due ipotesi principali riguardo le modalità l’inversione dei poli magnetici terrestri: una sostiene che l’inversione debba avvenire in tempi molto dilatati (e perciò ritiene questo fenomeno di scarso interesse per l’uomo); l’altra, invece, asserisce che l’inversione debba avvenire in tempi brevi, circa un secolo.

All’interno di un’ampia investigazione scientifica, di importanza internazionale, sulle proprietà paleomagnetiche di rocce sedimentarie – che non provengono da territori distanti migliaia di chilometri dal nostro Paese, ma che sono state deposte sul fondo di un antico lago e ora affiorano in superficie nel bacino di Sulmona, in Abruzzo –  il Dottor Biagio Giaccio (a sinistra nella foto) ed altri ricercatori hanno fatto importanti scoperte sulla modalità di inversione del campo magnetico terrestre. Gli esperimenti sono stati eseguiti nei laboratori dell’INGV di Roma, nel Berkeley Geochronology Center in California ed in una delle sedi del CNRS in Francia.

Sulmona-e1413897164149

Lo studio ha evidenziato che l‘inversione del campo magnetico terrestre è un fenomeno che non avviene ad intervalli di tempo regolari, ma si completa in un lasso di tempo relativamente breve (meno di un secolo).

Si ipotizza inoltre che tra non molto si assisterà ad una inversione del campo magnetico. Questa teoria è avvalorata dal continuo studio della magnetosfera del nostro pianeta: il campo magnetico terrestre si sta indebolendo e ciò significa che qualcosa, a livello dei Poli, sta cambiando.

Abbiamo chiesto al  Dottor Biagio Giaccio di aiutarci a comprendere meglio questo complesso fenomeno e le sue possibili conseguenze. Ecco  i tratti più salienti dell’intervista che ci ha concesso.

Perché la ricerca è stata condotta proprio sul territorio di Sulmona?

La ricerca è stata condotta sulle rocce del Bacino di Sulmona poiché in questa zona si possono osservare rocce in affioramento di una certa antichità; inoltre il bacino è un bacino “tettonicamente” attivo, ovvero è soggetto a movimenti dovuti alle faglie che lo delimitano. Questi movimenti provocano il sollevamento di strati rocciosi ricchi di indicazioni sul campo magnetico terrestre. Studiando la datazione e il microcampo magnetico dei minerali presenti all’interno delle rocce sedimentarie del bacino, orientati in base al campo magnetico terrestre presente al momento della sedimentazione, è possibile studiare l’evoluzione del campo magnetico terrestre e i fenomeni associati alla sua inversione. Non sempre queste misurazioni sono di grande qualità; invece, in questo caso, i paleomagnetisti, ossia gli specialisti, si sono trovati davanti una bella occasione per studiare in grande dettaglio la dinamica dell’inversione. Un altro fatto che rende questa successione di rocce sedimentarie molto interessante, e diversa dalle altre, è la possibilità di datare con grande precisione le rocce che la costituiscono, e quindi determinare i tassi di sedimentazione di questi sedimenti carbonatici, perché al loro interno si rinvengono ceneri provenienti dall’attività esplosiva degli apparati vulcanici laziali, che contengono al loro interno dei cristalli ricchi di potassio che possono essere datati con il metodo radioisotopico del potassio-Argon e dell’argon40-Argon39 (geocronometri); questo ci dà una precisa indicazione dell’età dei sedimenti. Inoltre, i sedimenti lacustri di Sulmona si trovano in affioramenti molto estesi per cui, per studiarli, non è stato necessario effettuare carotaggi che, tra i parametri paleomagnetici, avrebbero consentito di studiare solo l’inclinazione magnetica. In affioramento è stato invece possibile studiare anche l’orientamento del campo attraverso la misurazione della declinazione magnetica, ossia l’angolo che forma il Nord magnetico rispetto al Nord geografico. Queste sono quindi le caratteristiche che ci hanno spinto a studiare proprio questo bacino.   

Come avviene il processo di datazione delle rocce?

Il processo di datazione delle rocce avviene grazie alla misurazione della percentuale di Potassio40 rispetto all’Argon40, elemento in cui decade. Esistono vari cronometri geologici ma in questo particolare contesto la scelta dell’elemento Argon come riferimento è stata pressoché obbligatoria, in parte dall’età molto avanzata delle rocce (tutti i metodi che sfruttano il decadimento di un elemento per datare una roccia hanno un limite che coincide con il tempo impiegato dall’elemento padre a decadere totalmente nell’elemento figlio, in questo caso rispettivamente Potassio ed Argon, con un tempo massimo di circa 1.3 miliardi di anni), in parte dall’ampia presenza di cristalli di Sanidino, minerale contenente Potassio.

Sono state individuate conseguenze dell’inversione avvenuta 786 mila anni fa sugli esseri viventi e sul pianeta? Quali potrebbero essere le conseguenze oggi, considerando tutti i progressi tecnologici raggiunti dall’uomo “moderno”?

Sugli effetti riguardanti vita ci sono stati vari studi a partire dagli anni ’80, uno degli effetti potenzialmente più dannosi sta nel fatto che la magnetosfera forma una specie di scudo in modo tale da protegge la terra da raggi cosmici e particelle cariche, soprattutto protoni elettroni che derivano in particolar modo dall’attività solare o dal cosmo in generale, e queste particelle dal punto di vista delle nostre infrastrutture moderne ,come è noto, possono creare danni anche significativi ai sistemi, per esempio, delle reti di telecomunicazione. Per quel che concerne la vita uno degli effetti più drammatici, secondo alcuni, è legato al fatto che in prossimità di un’inversione del campo magnetico terrestre è sempre associato un forte calo di intensità, questo favorisce la penetrazione delle particelle cariche e uno degli effetti più deleteri è che questo possa innescare una lunga serie di reazioni chimiche a livello dell’atmosfera che determina una diminuzione dello strato di ozono, e questo indebolito favorisce la penetrazione dei raggi ultravioletti che, è noto, sono fonte di una serie di malattie, ad esempio il cancro. C’è addirittura un lavoro molto recente che metterebbe in relazione l’estinzione dell’uomo di Neanderthal di 40000 anni fa con un picco marcato dell’intensità del campo magnetico di quello stesso periodo.

Ci sono riscontri di studi “simili” in altre parti del pianeta?

Questi studi sono in continuo progresso e sono eseguiti in varie parti del mondo, per esempio in alcuni sedimenti in Cina. Principalmente, però, queste ricerche sono condotte su lave o sedimenti marini; mentre i sedimenti marini non hanno “età assolute”, ma vengono datati in base a “modelli”, la datazione ottenuta a Sulmona è invece molto più rigorosa e “modellata”, quindi più “interessante” dal punto di vista della ricerca scientifica.

In futuro, si proverà a duplicare gli studi anche in altre zone dell’Appennino.

Quali sono le cause dell’inversione dei Poli Magnetici terrestri?

Nessuno conosce le reali cause di questo fenomeno: l’argomento è, ad oggi, oscuro. Esistono diverse teorie. A differenza del campo magnetico solare, che si inverte con una periodicità fissa, l’inversione dei poli magnetici terrestri è un fenomeno totalmente aperiodico. Esistono vari modelli e teorie, ma nulla di accettato universalmente. Il fenomeno è legato alle correnti elettriche che esistono all’interno del nucleo fluido della terra, che interagisce con la sua parte più interna, quella solida, entrambe formate da metalli.

Se mi recassi a Sulmona, potrei riconoscere visivamente le rocce adatte a questo studio (da “profano dell’argomento”)?

Nei territori circostanti Sulmona vi sono varie colline, coperte di sedimenti biancastri, meglio visibili dove le rocce sono “spaccate”. Questi sedimenti contengono alte percentuali di carbonato di calcio che deriva dalla produttività biologica di alghe che vivono all’interno del lago.

Le altre sedimentazioni sono composte invece da argilla. Dal punto di vista paleomagnetico non è possibile riconoscere visivamente le rocce utili allo studio: servono studi più specifici.

Inoltre, un solo minerale, tra i vari sedimenti, ha mantenuto la magnetizzazione originale ed utile allo studio: si tratta di una magnetite “autoctona” del luogo.

Generalmente, però, di fronte a questi sedimenti, si intuisce subito la loro importanza a livello scientifico: essi formano infatti successioni omogenee e “facilmente” studiabili.

Su questi stessi sedimenti si stanno conducendo altri studi, di tipo climatico.

Martino Cremona, Pier Palo Ferrari, Riccardo Rigoni, Francesco Visintin

Giardinaggio lunare

Gli uomini potranno mai vivere sulla Luna?
Potremmo trovare la chiave per rispondere a questa domanda in un prossimo futuro, in quanto la NASA, che già da tempo ha avviato una ricerca sugli sviluppi delle piante nello spazio, nel 2015 in collaborazione con l’equipe del Lunar Plant Growth Habitat invierà sulla Luna una serie di contenitori di 1KG dalla forma di barattoli da caffè con all’ interno semi di rape, basilico ed arabetta comune.

nasa-2

Fonte immagine: http://rt.com/files/news/21/4e/40/00/nasa-2.jpg

Quest’ ultima, ovvero l’Arabidopsis thaliana, per gli “amici” arabetta, è una piccola pianta erbacea annuale o biennale. Essa non ha una particolare importanza in campo agronomico, ma viene spesso utilizzata in campo scientifico per le sue piccole dimensioni e per il ciclo di vita breve, caratteristiche importanti negli spazi e tempi ristretti tipici dei laboratori.

arabidopsis-thaliana6Fonte immagine: http://www.botanicalgarden.ubc.ca/potd/arabidopsis-thaliana6.jpg

Il progresso effettuato dalle piantine verrà monitorato tramite una serie di fotografie scattate ad intervalli regolari che verranno in seguito inviate sulla Terra per essere elaborate.

Ma quali sono gli obiettivi che si cerca di raggiungere?

L’esperimento mira a stabilire se le piante riescono a vivere nell’ambiente Lunare, sottoposto alle radiazioni solari e con una gravità ridotta ad un sesto rispetto a quella quella terrestre. Dall’analisi dei dati ricevuti esaminando il comportamento dei vegetali, sarà possibile scoprire qualcosa di più anche sulle possibilità di vita per l’uomo al di fuori dell’ambiente terrestre. Infatti se riuscissimo a far crescere delle piante in un ambiente finora considerato ostile, anche noi potremmo pensare di stabilirci lì.

Questo non è il primo tentativo di far crescere delle piante a gravità ridotta.

Negli anni ’70, durante la missione spaziale sovietica Salyut, i cosmonauti russi si limitarono a mandare in orbita vere e proprie serre spaziali.
In questo caso, invece, è stata scelta come location del progetto proprio la Luna, che sembra essere un habitat ideale per la raccolta di dati sia per la sua vicinanza che la sua geografia ben conosciuta.

La NASA per risparmiare sul lancio delle missioni future, tra cui questa, ha stipulato un contratto che prevede l’acquisto dei dati di volo spaziale di alcuni robot-sonde che verranno inviati sulla Luna tramite un concorso chiamato Lunar X-Prize Google, aperto solo ai privati. I ricercatori sperano così di trovare nuovi sistemi da impiegare, per esempio nel campo dell’aereodinamica o dei materiali di rivestimento, tagliando così i costi di costruzione e quelli dovuti all’elevatissimo consumo di propellente necessario per lasciare l’atmosfera ed entrare in orbita.

google_lunar_xprize_625x260

Dagli esperimenti effettuati in condizioni di microgravità è emerso, però, che spesso le piante si sviluppano con alcune anomalie, come ad esempio le radici che non seguono l’abituale direzione verso il basso, tipica della crescita che avviene sulla Terra. Questo tipo di esperienze potrebbe aiutare a comprendere meglio lo sviluppo delle piante e magari quei germogli porteranno frutti anche per l’uomo.

Silvia Allegri, Alessandro Delmonte, Silvia Mirabile, Riccardo Pezzani, Marco Vincenzi

I vulcani islandesi

Ciao a tutti ! Qui è Scienzoom che vi parla.

La nostra rivista parla di Scienza e che rivista sarebbe senza un articolo sulla vulcanologia?!?

La vulcanologia, come saprete già, è la scienza che studia i processi e i fenomeni vulcanici con l’obiettivo di comprendere l’origine e il funzionamento dei vulcani e di analizzare i rischi e i pericoli per le popolazioni e le attività umane.

Quando si parla di eruzione vulcanica ci si riferisce alla fuoriuscita di materiali (solidi o liquidi) e di gas dal cratere principale di un vulcano oppure da dei crateri secondari. Questo fenomeno però è solo la parte finale di un processo che si suddivide in più fasi: all’inizio il magma, che si forma a grande profondità nella crosta terrestre, risale fino ad arrivare nella camera magmatica e lì ristagna; quando il magma si è accumulato fino a riempire la camera magmatica, inizia a risalire nel camino (condotto verticale che collega la camera al cratere principale); infine, il magma arriva al cratere e si verifica l’eruzione, che può essere più o meno violenta a seconda dei tipi di gas che fuoriescono insieme al magma.

 vulcano

I vulcani sono studiati e classificati dai vulcanologi (gli scienziati che si occupano appunto dei vulcani attivi e non).

Esistono diversi tipi di vulcani e oggi vi parleremo di quelli che spesso fanno parlare di sé: quelli di tipo surtseyano (islandesi).

Ma prima cerchiamo di capire da quali elementi è formato un vulcano!

Innanzitutto è giusto specificare che quello che noi solitamente chiamiamo ”vulcano” è l’edificio vulcanico (costituito dal cono e dal cratere), il vulcano, infatti, comprende anche una struttura non visibile, interna alla crosta (comprendente la camera magmatica, serbatoio della lava e il camino). I materiali che fuoriescono dall’edificio vulcanico sono lava, cenere, lapilli, gas e vapore acqueo.

Un errore che comunemente si fa è quello di usare come sinonimi magma e lava, anche se le due cose in verità sono due sostanze un po’ diverse. All’interno della camera magmatica c’è un fuso viscoso: il magma. Durante un’eruzione vulcanica il magma che fuoriesce dal cratere prende il nome di lava.

Ma allora dov’è la differenza?

La differenza sta nel fatto che mentre il magma è una miscela di rocce fuse, vapore acqueo e gas tenuta insieme dalla grande pressione e temperatura presenti nella camera magmatica, la lava è un fuso che non ha più al suo interno i gas e il vapore acqueo perché questi ultimi si sono separati dal magma durante l’eruzione a causa della riduzione della pressione tra l’interno della camera magmatica e la superficie terrestre.

Dopo questa breve parentesi, avendo chiarito alcuni punti fondamentali, possiamo finalmente parlare di vulcanismo hawaiano e surtseyano (deriva dal nome dell’isola di Surtsey in Islanda, nata a causa di un’eruzione sul fondale oceanico).

Siamo in Islanda. Immaginatevi di essere in una terra desolata, completamente ricoperta dal ghiaccio e di guardare il cielo. Se siete “fortunati” potreste vedere una colonna di fumo nero e denso provenire da un altopiano ghiacciato: ecco, quel fumo è provocato dal Bardarbunga, il vulcano più attivo dell’isola (che per altro sta eruttando anche in questo periodo!).

iceland-Bardarbunga-volcano

Il vulcanismo di questo vulcano, oltre a essere surtseyano (tipologia di vulcanismo esplosivo causato dal fatto che, durante l’eruzione, il magma entra a contatto con dell’acqua, che genera continue esplosioni e viene liberata una grande quantità di ceneri durante queste esplosioni) , è di tipo “fissurale” perché la lava fuoriesce non tanto da un solo cratere, ma piuttosto da una spaccatura del terreno che può essere lunga anche diversi chilometri. Al termine dell’eruzione la spaccatura viene riempita e nascosta dalla lava che si solidifica fino alla sua riapertura al successivo evento eruttivo.

Abbiamo voluto raccontarvi questo tipo di vulcanesimo perché i vulcani islandesi sono noto per i problemi che causano anche al traffico aereo e abbiamo pensato che potessero interessarvi!

Per ora è tutto! Speriamo di avervi interessato, spinto a leggere altri articoli o almeno divertito.

Lorenzo Casaroli, Pietro Cavalli, Gursimran Kaur, Riccardo Mussini, Lara Nerti

Come estrarre il DNA dalle cellule della frutta

Spesso siamo portati a pensare che il DNA sia qualcosa di molto astratto e lontano dall’esperienza di tutti i giorni.

Con questo esperimento abbiamo voluto mostrare quanto questo acido nucleico, che tanto influenza la nostra vita, sia vicino alla nostra esperienza quotidiana.

Per poter osservare ad occhio nudo il DNA è stato innanzitutto indispensabile disgregare i fosfolipidi di cui sono costituite le membrane cellulare e nucleare tramite l’azione del detersivo per piatti.

Abbiamo inoltre liberato il DNA dalle proteine istoniche mediante l’enzima bromelina (proteasi) che è contenuto nel succo d’ananas e che, appunto, catalizza le reazioni di demolizione delle proteine.

In questo modo abbiamo permesso al DNA di “srotolarsi”, in quanto non più avvolto intorno agli istoni nella conformazione a nucleosomi, rendendolo più evidente.

La bromelina, distruggendo anche le DNA-asi (contenute in vescicole citoplasmatiche), avrebbe dovuto ridurre il nostro DNA in frammenti poco visibili. Per evitare questa reazione abbiamo sfruttato il fatto che il DNA è solubile in acqua, ma non in etanolo. Quindi, abbiamo aggiunto etanolo che ha fatto precipitare il DNA rendendolo maggiormente visibile.

La preparazione di questo esperimento è un po’ lunga, ma la soddisfazione quando vedrete finalmente apparire il vostro DNA sarà grandissima. Se poi lavorerete con qualche amico l’ esecuzione non sarà così impegnativa, e vi piacerà ancora di più!

Se vi è venuta voglia di provare qui sotto trovate i passaggi da seguire, buon divertimento!

Suggerimento: noi abbiamo provato l’esperimento con diversi frutti per avere una più ampia gamma di risultati, ma per una riuscita “sicura” vi suggeriamo di utilizzare frutta a polpa morbida come ad esempio banane, kiwi o fragole.

 

Obiettivo

Estrarre il DNA contenuto nel nucleo di cellule vegetali di campioni di frutta

Materiali

SOSTANZE  STRUMENTI
frutta a polpa morbida bilancia
cloruro di sodio 2 cilindri graduati da 100 ml
succo d’ananas provetta con tappo da 50 ml
etanolo (mantenuto in congelatore, per almeno un’ora) provetta con tappo da 20 ml
acqua distillata colino
detersivo piatti contenitore e forchetta per pestare la frutta
becher
spruzzetta (per l’acqua distillata)
siringa o pipetta
3 becher piccoli (per il detersivo piatti, il succo d’ananas e l’etanolo)
carta da filtro o vetro da orologio (per il cloruro di sodio)

Procedimento

 a) Preparazione della soluzione di estrazione

  • Pesare 3 g di cloruro di sodio (e introdurli) in un cilindro graduato da 100 ml
  • Prelevare con una pipetta o una siringa 10 ml di detersivo per piatti e versarli nel cilindro graduato con il cloruro di sodio
  • Aggiungere nel cilindro graduato acqua distillata fino al volume di 100 ml e agitare bene per sciogliere completamente il sale
  • Mettere la polpa di frutta all’interno di un contenitore e schiacciarla con una forchetta
  • Versare la soluzione precedentemente preparata nel contenitore contenente la polpa di frutta schiacciata
  • Filtrare il preparato ottenuto con un colino sistemato su un becher di raccolta, senza mescolare o premere

b) Digestione delle proteine associate al DNA

  • Prelevare 25 ml di filtrato (NB: usare solo la parte liquida del filtrato, evitare di travasare il precipitato che può eventualmente formarsi sul fondo del becher di raccolta) e versarlo nella provetta da 50 ml
  • Aggiungere 5 ml di succo d’ananas, chiudere la provetta col tappo e mescolare delicatamente per inversione (evitando movimenti forti e bruschi, in su e in giù)
  • Attendere qualche minuto (per consentire alla bromelina, proteasi contenuta nel succo d’ananas, di agire sulla proteine associate al DNA)

c) Precipitazione del DNA con l’etanolo

  • Prelevare (dalla provetta da 50 ml) 6 ml della soluzione ottenuta e travasarli nella provetta da 20 ml
  • Aggiungere 6 ml di etanolo molto freddo, versandolo delicatamente lungo il bordo e le pareti della provetta, in modo da formare uno strato sulla superficie della soluzione all’interno

Risultati

Dopo aver aggiunto etanolo all’estratto preparato, si formano delle bollicine di gas; non appena tale fenomeno si esaurisce, è possibile osservare nell’interfaccia acqua-etanolo una sostanza trasparente che va via via aumentando: si tratta di DNA.

Davide Boccalini, Federico Delmonte, Giorgia Orlandelli, Alberico Rastelli, Serena Santoriello

M’illumino di meno e l’inquinamento luminoso

M’illumino di meno è la più grande campagna radiofonica di sensibilizzazione sulla razionalizzazione dei consumi energetici; è stata ideata da Caterpillar, storico programma in onda da diciotto anni su Radio 2 RAI dalle 18 alle 19,30.

logo-millumino

Il progetto si avvale da anni dell’Alto Patrocinio del Parlamento Europeo e della Presidenza della Repubblica, nonché delle adesioni di Senato e Camera dei Deputati.

Come ogni anno, il 13 febbraio è prevista la Giornata del Risparmio Energetico dedicata ad un simbolico “silenzio energetico” per attirare l’attenzione sul fatto che sono tanti i piccoli accorgimenti che ognuno di noi può rispettare per un consumo di energia responsabile. Questo “silenzio energetico” consiste nello spegnimento dell’illuminazione di monumenti, piazze, vetrine, uffici, aule e abitazioni private.

Anche scuole e bambini e ragazzi di ogni età hanno potuto dimostrarsi solidali in diversi modi dando un apporto alla campagna, ad esempio ideando un inno, il M’illum-inno, che si può ascoltare sul blog della trasmissione Caterpillar.

Lo scopo della campagna è quello di sensibilizzare la popolazione promuovendo la riflessione riguardo lo spreco di energia, collegato anche al problema dell’inquinamento luminoso. Quest’ultimo è un termine poco diffuso e forse un po’ strano, che può far pensare a un’affollata via di Las Vegas, ma in realtà è un problema molto più diffuso di quanto si possa credere.

Questa forma di inquinamento è un’alterazione della quantità naturale di luce nell’ambiente notturno, provocata dalla emissione di luce artificiale.

Ma come quantificare l’inquinamento luminoso?

In relazione all’iniziativa di Caterpillar, la comunità astronomica nazionale (INAF, SAIT, ASI) e internazionale (IAU) ha invitato gli ascoltatori che vorranno aderire al progetto, saranno invitati ad effettuare un’osservazione della costellazione dell’Orsa Minore, o Piccolo Carro, dalle 18.00 alle 19.30 nelle sere precedenti al 13 Febbraio, la Giornata del Risparmio Energetico. Una seconda osservazione avverrà proprio il 13, mentre tutte le luci urbane saranno spente; la differenza fra il numero di stelle visibili senza illuminazione e quelle visibili in piena luce cittadina sarà quindi una buona misura per l’inquinamento luminoso.

Certo oggi i tempi sono cambiati rispetto all’Ottocento, quando la sera si accendevano le candele e le strade erano troppo buie per essere sicure. Adesso ad ogni ora del giorno e della notte è possibile svolgere qualsiasi attività, le strade sono illuminate a giorno e le insegne dei locali hanno luci addirittura intermittenti.

Apparentemente tutto ciò sembra solo sinonimo di progresso, ma limita fortemente l’osservazione astronomica del cielo e, cosa ancor più grave, può causare danni alla salute umana e a quella animale.

Ad esempio, con il continuo aumento dell’inquinamento luminoso nei nostri cieli, sta diventando sempre più difficile scorgere una porzione della Via Lattea che era, invece, facilmente visibile fino a qualche decennio fa. Per gli astronomi è complicato osservare il cielo, così come per i ragazzi come noi, che si allontanano sempre più dallo studio degli astri.

inqlu001

Fonte immagine: http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/light_pollution_030321_02.jpg

Tra le varie iniziative che cercano di contrastare questo fenomeno, in Canada, ad esempio, sono stati creati grandi parchi per l’osservazione delle stelle.

L’UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) difende la qualità del cielo stellato e della notte come diritto ambientale, culturale scientifico e anche le pubbliche amministrazioni dovrebbero assicurarsi che gli utilizzatori di luci artificiali lo facciano in maniera responsabile.

Quando si parla di inquinamento luminoso, l’aspetto a cui si pensa per eccellenza, è l’astronomia, ma recentemente è stata messa in evidenza l’esistenza di una forte correlazione fra i livelli di luminosità notturna nell’ambiente e l’incidenza di malattie nella popolazione.

Ad esempio l’esposizione alla luce artificiale nelle ore serali ha effetti sulla secrezione di melatonina, riducendola e ritardandola.

La melatonina è un neurormone prodotto da una ghiandola posta alla base del cervello, la ghiandola pineale o epifisi e ha la funzione di regolare il ciclo sonno-veglia. Ha anche proprietà antiossidanti (impedisce l’ossidazione di sostanze all’interno dell’organismo) ed è anche un antitumorale. La sua produzione e secrezione è ostacolata dall’esposizione alla luce notturna.

La mancanza di questo neurormone può concorrere a causare varie patologie, tra cui disturbi dell’umore (depressione), insonnia, immunodepressione, malattie cardiache e disordini metabolici (diabete, obesità), che, a loro volta, potrebbero facilitare l’insorgenza di altre malattie, compreso il cancro (nelle donne soprattutto al seno, anche se sembra ci siano correlazioni anche con quello al colon o alla prostata).

In natura, un’illuminazione costante ha conseguenze sia sui singoli individui che sulla conservazione delle specie e sull’equilibrio degli ecosistemi.

Ad esempio i prati ai lati di una strada illuminata hanno valori di luce artificiale pari a centinaia di migliaia di volte maggiori rispetto alle normali condizioni di una notte naturalmente buia.

Gli effetti sugli animali sono molteplici e molto spesso ne causano la morte.

In altri casi l’eccessiva illuminazione ne sconvolge i ritmi biologici portando complicazioni per quanto riguarda la riproduzione o la migrazione.

Le tartarughe ad esempio muoiono perché alla schiusa delle uova invece di dirigersi verso il mare, sono attratte dalla luce delle strade, con la conseguenza che finiscono per essere vittime delle automobili o dei predatori.

Molte volte gli uccelli migratori vengono storditi dalla luce notturna, perdono l’orientamento e non riescono a raggiungere la destinazione finale della migrazione e talvolta si scontrano contro fari o lampioni illuminati.

I pipistrelli, invece, animali notturni per eccellenza, riducono la loro attività di caccia e rischiano di morire.

Infine, gli insetti vengono attirati dai lampioni e rimangono ustionati o intrappolati.

A questo punto, come possiamo fare per ridurre l’inquinamento luminoso?

Per cominciare si potrebbero spegnere gli impianti di illuminazione extraurbani dopo le 23.00 o ridurre le illuminazioni decorative, Questo servirebbe anche a ridure sensibilmente il consumo energetico.

Altra cosa da fare sarebbe quella di limitare la luce blu, presente soprattutto nei dispositivi LCD o LED, come schermi di smartphone, tablet, TV e PC.

Importante sarebbe utilizzare impianti che direzionino il fascio di luce verso il basso e non al di fuori della zona da illuminare: infatti la gran parte dell’inquinamento luminoso è dovuta alla luce che esce direttamente verso l’alto dagli apparecchi e non da quella riflessa dalle superfici illuminate. A questo proposito i lampioni a LED potrebbero ridurre lo spazio di illuminazione. Questo non comporta necessariamente l’aumento del livello di criminalità, che invece rimarrebbe invariato.

Se ci riflettiamo un momento, molti provvedimenti potrebbero essere presi con relativa facilità. Da molte parti arriva l’invito a intervenire nelle città e nei quartieri, ma forse ci spaventiamo di fronte ai cambiamenti e preferiamo chiudere gli occhi.

Comunque sia, crediamo che debba essere fatto ogni sforzo per aiutare le persone a comprendere questi problemi. Per questo vi invitiamo a spegnere la luce e non il cervello!

Silvia Allegri e Silvia Mirabile

Video realizzato da:  Edmondo Buffa, Matteo Cugini, Valeria Gaibazzi, Federico Fallini, Silvia Mirabile, Luca Regalli

CAFFE’ VERDE: MAGICO RIMEDIO PER PERDERE PESO O FINTA SCORCIATOIA?

Non esistono scorciatoie a nulla: non certo alla salute, non alla felicità o alla saggezza. Niente di tutto questo può essere istantaneo. Ognuno deve cercare a modo suo, ognuno deve fare il proprio cammino, perché uno stesso posto può significare cose diverse a seconda di chi lo visita.
Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra.

 

Non è forse vero che ognuno di noi cerca, a suo modo, di trovare espedienti che semplifichino la propria vita, senza dover far fronte alla fatica?

Ciò si può facilmente notare, per esempio, dal numero incredibile di siti o articoli di giornali e riviste che pubblicizzano perdite di peso miracolose senza dover ricorrere ad una dieta ipocalorica e ad attività fisica quotidiana, facendo, invece, uso di sempre nuovi ritrovati, naturali o di sintesi, che promettono il miracolo sperato.

A questo proposito, a seguito della pubblicazione di un articolo riguardante il caffè verde sulla nota rivista scientifica “American Journal of Clinical Nutrition”, in questi ultimi tempi le proprietà, vere o presunte, di questo chicco sono tra gli argomenti più cliccati sul web.

 84316

Cos’è che rende così interessanti questi chicchi?

Coloro che ne parlano a favore affermano che il caffè verde, (così chiamato poiché il chicco non viene tostato, diversamente dal caffè comunemente utilizzato), sia in grado di far dimagrire grazie alle sue proprietà antiossidanti, ad un pH meno acido ed alla presenza di acido clorogenico  che legandosi alla caffeina, (che qui troviamo in quantità minore rispetto al caffè torrefatto), forma il clorogenato di caffeina. Quest’ultimo permetterebbe al nostro organismo di assimilare la caffeina in un tempo maggiore, rispetto a quanto accade con il caffè nero, consentendo di conservare gli effetti di questa sostanza più a lungo.

acido-clorogenico-02

Fonte immagine: http://it.greencoffee.eu.com/acido-clorogenico.html

Le sue proprietà antiossidanti sono date dai polifenoli contenuti nei chicchi che dovrebbero fungere da “brucia grassi”.

Ciò che potrebbe indurre a credere nella capacità dimagrante del prodotto è il fatto che i polifenoli al suo interno si legano ai grassi in modo da non farli depositare. In questo modo, attraverso l’attività fisica, possono essere subito smaltiti. Senza attività motoria, però, questi grassi tornano a depositarsi proprio come farebbero in assenza di queste sostanze.

Nell’intervista a Fausta Natella ricercatrice dell’INRAN, Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, da parte dell’agenzia di notizie italiana “Adnkronos Salute”, emerge il lato critico della questione . La Dott.ssa Natella, infatti, circa l’attendibilità della ricerca, dichiara con fermezza che “[…] non offre alcuna base scientifica per affermare che il caffè verde faccia dimagrire“.

Un magico rimedio, che ci permetta di perdere peso mentre mangiamo patatine sul divano davanti alla televisione, ancora non esiste.

Quello del caffè verde non è l’unico falso mito sugli effetti di certi alimenti. Prendiamo ad esempio cioccolata, frutta o pasta.

La cioccolata contiene serotonina, un neurotrasmettitore coinvolto nella regolazione dell’umore, e se non si esagera nelle quantità non porta necessariamente ad aumento di peso e acne.

Per quanto riguarda la frutta, il fatto che faccia ingrassare se assunta dopo i pasti non è corretto. Studi approfonditi hanno dimostrato che, dal punto di vista calorico, la frutta a fine pasto ci consente di concludere più velocemente il pranzo o la cena poiché, proprio per il suo gusto un po’ acido manda al cervello un segnale di sazietà.

La pasta, carboidrato complesso spesso considerato sul web il nemico di ogni dieta ipocalorica, se assunta in quantità moderata e con condimenti adeguati fornisce al nostro organismo l’energia per affrontare una tipica giornata di lavoro o di studio.

Altri falsi miti sono quelli che attribuiscono poteri miracolosi, come quelli attribuiti al caffè verde, a sostanze come tisane o infusi che, se assunti in grande quantità (4-5 tazze al giorno), permettono un “sano” dimagrimento.

Per non parlare poi degli infiniti prodotti non naturali che spesso vengono pubblicizzati come gli unici capaci di mantenere un peso forma, mentre possono avere più effetti collaterali che benefici.

Anche il caffè verde, quindi, può essere aggiunto a quell’interminabile, e sempre più in crescita, elenco di prodotti la cui fama miracolosa è promossa, in realtà, dalle aziende produttrici.

Non esistono alimenti o integratori dimagranti. Per stare bene e mantenere un peso adeguato è, invece, importante imparare a nutrirsi in modo corretto e cominciare a pensare all’attività fisica come al migliore “integratore” a basso costo che possiamo trovare sul mercato.

 

Sofia Fiora

Amalia Ercoli Finzi, intervista alla “mamma italiana” di Rosetta

“Siate orgogliosi di essere italiani, orgogliosi di essere europei”

E’ stata la prima donna in Italia a laurearsi in ingegneria aeronautica, presso il Politecnico di Milano, ed è una delle principali protagoniste dell’avventura di Rosetta. Suo il progetto del trapano del lander Philae, il gioiello che con i suoi “denti” di diamante e i suoi piccoli forni di raccolta in platino ha il compito di studiare il nucleo della cometa 67/P.

multimedia-141112123009

L’ obiettivo di questo strumento di trivellazione, detto SD2 (Sampler Drill&Distribution) è di scoprire se sulla cometa c’è traccia dei mattoni della vita, gli amminoacidi, e se dunque è da questi corpi celesti, come molti scienziati pensano, che è arrivata la vita sulla Terra.

Progettare e realizzare un trapano che debba operare su una cometa presuppone di riuscire ad immaginare le condizioni esatte che Philae avrebbe trovato una volta atterrato. Quali aspetti sono stati considerati? Com’è stato possibile prevedere queste condizioni?

Progettare questo strumento è stata un’impresa! Doveva cominciare a lavorare più di 10 anni dopo rispetto a quando era partito. È come se uno progettasse un elettrodomestico che incomincia a lavorare vent’anni dopo l’inizio della sua progettazione! Una cosa impensabile, ma soprattutto non avevamo la più pallida idea di quale fosse l’ambiente cometario, non c’erano indicazioni né sulla temperatura né sull’ambiente (per esempio, presenza di eruzioni di gas o altro) ma soprattutto non c’era nessuna indicazione sulla conformazione del terreno, sulla sua durezza, un’informazione cruciale dato che dovevamo penetrarvi. Quindi abbiamo cercato di ricreare le condizioni ambientali che avremmo trovato attraverso varie prove in una camera ghiacciata, partendo da quello che chiamiamo gasbeton, una specie di schiuma di cemento, fino a terreni anche molto più duri e variegati. La difficoltà è stata sostanzialmente, il dover tener conto delle temperature. Abbiamo un trapano che scorre lungo delle guide: l’importante era che queste guide mantenessero il loro allineamento perfetto anche in condizioni di temperature ignote (intorno a -150°) e di suolo ignote. La progettazione è stata un capolavoro di ingegneria tenuto conto anche del fatto che è stata realizzata sotto vincoli strettissimi di dimensioni e peso. Il trapano, i due motori adibiti al suo funzionamento, il meccanismo di raccolta dei campioni e il rivestimento esterno in fibra di carbonio non pesano insieme più di 5 kg . Contenere i pesi è stato tremendo!

Sappiamo che nonostante il grande successo della missione qualcosa è andato storto e Philae non ha funzionato come ci si aspettava. Può spiegarci cosa è successo e quali dati si è riusciti comunque a raccogliere fino a che il Lander è stato in grado di funzionare?

“Un enorme successo è stato, innanzitutto, trovare la cometa, che con le sue dimensioni (circa 4 km di lunghezza) era poco più che un granello di polvere nel sistema solare. Poi, ci siamo messi in orbita attorno alla cometa, siamo cioè riusciti ad avere una velocità assolutamente simile a quella della cometa in modo tale da poter viaggiare con lei verso il Sole. A questo punto abbiamo fatto un avvicinamento alla cometa con una serie di orbite che ci hanno portato sempre più vicino e quando siamo arrivati a circa 10 km dalla cometa abbiamo sganciato Philae e siamo scesi sulla cometa. Questo vuol dire che le operazioni sono state un successo strepitoso, anche se i razzi assist e gli arpioni adibiti ad ancorare il lander al terreno non hanno funzionato correttamente e il modulo, dopo l’impatto col suolo, a causa della gravità praticamente nulla, ha “rimbalzato” per circa 1 km e si è fermato in una specie di caverna dove, per via della scarsa illuminazione, le batterie non hanno potuto ricaricarsi. Comunque, nelle 60 ore di autonomia della batteria primaria abbiamo compiuto tutti gli esperimenti previsti per la F.S.S.(First Science Sequence), ovvero la prima sequenza di attività scientifica. Ora aspettiamo di avvicinarci al Sole, sperando che aumentino temperatura e illuminazione, per proseguire con la raccolta di informazioni.”

Che cosa vi aspettavate 10 anni fa al momento del lancio della missione?

“Come in ogni missione spaziale ci aspettavamo tutto e niente, perché è possibilissimo che qualcosa vada storto e la missione fallisca, è l’incognita della scoperta come in ogni esplorazione. Quello che volevamo e stiamo scoprendo sono le caratteristiche della cometa, come quelle termiche e magnetiche ad esempio, perché visto che la cometa è nata con il sistema solare, 4,6 miliardi di anni fa, ed è rimasta al freddo, ha conservato le sue caratteristiche, che sono anche quelle che avevano la Terra e i pianeti al momento della loro formazione. Noi vogliamo capire com’era il sistema solare all’origine e come è cambiato. Per esempio, si pensa che l’acqua dei mari possa essere stata portata dalle comete. L’acqua del mare contiene un isotopo dell’idrogeno, il deuterio, nella misura di 30 grammi per ogni metro cubo d’acqua. Vogliamo capire qual era la composizione isotopica all’inizio della storia del sistema solare e quindi confrontarla con quella degli oceani terrestri per vedere se è analoga. Vogliamo anche vedere in che misura troviamo presenza di composti organici.

Nei giorni successivi all’intervista è arrivata la risposta che si stava aspettando. Gli spettrometri a bordo della sonda hanno scoperto che la composizione isotopica dell’acqua che forma il ghiaccio della cometa è molto diversa da quella presente sul nostro pianeta, poiché le molecole di acqua hanno una percentuale tripla di deuterio rispetto ai mari della Terra, escludendo così le comete di questo tipo dai possibili traghettatori dell’acqua sul nostro pianeta.

Quali sono state le sue sensazioni al momento dell’atterraggio del lander?

Credo di aver perso qualche anno di vita! Il rischio di non riuscire a trovare la cometa ed atterrare era altissimo, perdersi nel sistema solare non era solo una cosa possibile ma, statisticamente, sarebbe dovuto accadere. Invece, non ci siamo persi! Siamo arrivati! La sera prima eravamo preoccupati perché era venuto fuori che gli assist, che servono ad ancorare il lander a terra, non avrebbero funzionato. Nonostante tutto è stato deciso di dare il go, perché tanto c’erano gli arpioni, anche se poi neanche questi hanno funzionato. Nonostante la preoccupazione e l’angoscia, non ci siamo persi, siamo arrivati sulla cometa. L’emozione è stata grandissima! Inoltre il trapano è stato messo in funzione verso la fine della potenza della batteria. I dati del trapano erano attesi intorno alle 10 e inizialmente sembravano non arrivare, ma poi, improvvisamente, alle 11:13, alla fine della batteria, sono infine arrivati. Questo momento è stato davvero una liberazione, ho pregato a lungo il Padre Eterno di darci una mano. Sono davvero contenta di aver potuto partecipare nella mia vita a una missione di questo tipo!

 

Silvia Barilli, Daniele Boschesi, Lorenzo Cantarelli, Leonardo Guglielmini, Marika Trucci

 

EBOLA: una vera apocalisse?

“Ogni volta che sento una notizia su Ebola, avverto un brivido lungo la schiena” racconta Peter Piot uno dei tre giovani ricercatori Belgi che nel 1976 ha analizzato per la prima volta il virus. Era il 29 settembre quando Peter viaggiò con provette di sangue infetto contenute in un thermos di plastica su un volo da Kinshasa, Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo), dove era scoppiato il primo focolaio dell’allora sconosciuto Ebola. L’aereo era diretto in Belgio, dove i tre ricercatori iniziarono l’analisi del sangue contenuto nelle provette. Unica precauzione un paio di guanti: nulla in confronto a tuta impermeabile, stivali, uniforme chirurgica, doppia maschera, cappuccio, occhiali, grembiule e doppio paio di guanti degli operatori sanitari di oggi.

image-753783-galleryV9-fhak

Fonte immagine: http://www.spiegel.de/international/world/bild-993111-753783.html

Dall’analisi venne fuori che si trattava di qualcosa di sconosciuto. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ordinò quindi di inviare tutte le provette negli USA per valutare l’effettiva pericolosità del virus. I giovani ricercatori, però, non volendo farsi sfuggire l’opportunità di un successo nella ricerca, non inviarono subito tutte le provette. Questa scelta si rivelò un azzardo: una delle provette, infatti, si ruppe e solo allora, esaminando le cellule infette, scoprirono la gravità della minaccia.

Ebola, il cui nome deriva proprio dalla valle in cui è scoppiata la prima epidemia, è un microrganismo che ha la forma di un microscopico verme, tra i più lunghi studiati, e che appartiene alla famiglia dei Filoviridae. Finora, sono stati isolati cinque ceppi diversi del virus, di cui quattro sono letali per l’uomo.

 Ebola_virus_em

Fonte immagine: http://it.wikipedia.org/wiki/Virus_Ebola#mediaviewer/File:Ebola_virus_em.png

Il periodo d’incubazione del virus dura tra i 2 e i 21 giorni. All’inizio, la malattia si presenta come una normale influenza: dolori muscolari, forti mal di testa, vomito e diarrea. Dopo 10 giorni, i sintomi peggiorano rivelandosi una grave febbre emorragica, ossia un’infezione che comporta un’importante perdita di sangue da parte degli organi. La trasmissione avviene solo tra mammiferi, quando bocca, occhi o piccoli tagli entrano a contatto con fluidi corporei infetti come saliva, sudore, vomito, feci e sangue.

LIBERIA-WAFRICA-HEALTH-EBOLA

Fonte immagine: http://www.spiegel.de/fotostrecke/photo-gallery-a-growing-epidemic-fotostrecke-119262.html

Sembra davvero incredibile che Peter Piot e i suoi colleghi non abbiano contratto la malattia ma ammalarsi non è così automatico.

Ebola è un parassita obbligato, ossia privo di vita autonoma e, pertanto, dipendendo dall’organismo ospite, sopravvive solo per breve tempo al di fuori delle cellule a contatto con Sole e aria. In caso di semplice contatto con la pelle sana acqua e sapone sono sufficienti a debellarlo.

Perché si parla di Ebola solo 38 anni dopo la sua effettiva scoperta?

Inizialmente si sono verificate epidemie in piccoli villaggi isolati dell’Africa, senza mai raggiungere le grandi città. Recentemente, però, la malattia si è diffusa anche in grandi centri di Guinea, Sierra Leone e Liberia, dove le reti di comunicazione permettono maggiore movimento e pertanto maggior diffusione.

Da 1300 morti negli ultimi 40 anni, siamo passati a circa 8000 casi di contagio, di cui 4000 morti, negli ultimi mesi.

Portatori sani del virus sono gli Pteropodidi , una famiglia di pipistrelli presenti in Africa comunemente noti come volpi volanti, o pipistrelli della frutta o rossetti. Anche in questo caso l’uomo ha le sue responsabilità: le numerose deforestazioni avvenute in questi territori hanno costretto le popolazioni autoctone che prima traevano nutrimento dai frutti della terra, a cibarsi di mammiferi come i pipistrelli infetti ma anche gorilla e scimpanzé entrati in contatto con il virus.

ebola-danger1

 Fonte immagine: http://blog.thomsonreuters.com/index.php/ebola-virus-disease-graphic-of-the-day/

Volontari di vari paesi occidentali hanno risposto all’emergenza africana assistendo i malati con le dovute precauzioni, ma purtroppo a causa della difficile gestione delle misure di sicurezza alcuni di loro sono stati contagiati. L’Europa, finora, si è dimostrata in grado di fronteggiare queste situazioni critiche, impedendo la diffusione incontrollata del virus.

Esiste però una cura? Al momento, non esistono ancora farmaci specifici per cui ci si è limitati a una gestione dei sintomi somministrando liquidi ed elettroliti attraverso flebo, mantenendo stabile lo stato di ossigenazione e pressione sanguigna del paziente e trattando eventuali sovra-infezioni. Il vaccino per Ebola ad oggi non è ancora stato realizzato, però sono stati fatti passi in avanti con le possibili cure. Ad esempio, è stato testato un farmaco sperimentale, il Zmapp, un cocktail di anticorpi che potrebbe essere stato decisivo per la guarigione dei due pazienti americani che lo hanno assunto, anche se altri test devono ancora essere effettuati. Un altro passo avanti è costituito dal vaccino creato in Italia che utilizza un comune virus del raffreddore degli scimpanzè; testato negli USA su venti volontari tra i 18 e i 50 anni, ha avuto riscontri positivi: solo due si sono ammalati, ma si è trattato di una semplice e breve influenza.

 

Il 24 novembre scorso è stato ricoverato all’ospedale Spallanzani di Roma il primo caso di Ebola che ha colpito un italiano. Il medico cinquantenne siciliano, volontario di Emergency, è stato trasportato con un mezzo militare dalla Sierra Leone con misure di massima sicurezza. Il paziente negli ultimi giorni ha presentato difficoltà respiratorie ed è quindi passato ad una respirazione assistita. Inoltre gli è stato somministrato un nuovo farmaco che mira a risolvere i gravi problemi intestinali che questa infezione comporta. Per fortuna, la sua risposta è stata positiva, infatti dopo poco tempo è tornato a respirare autonomamente.

125312486-07358f74-263b-46b6-bee9-ae333fc63c2a

Fonte immagine:  http://www.repubblica.it/salute/2014/11/29/news/ebola_il_medico_emergency_in_peggioramento-101704257/

Alla luce dei recenti avvenimenti ci rendiamo conto del grave pericolo scampato tanti anni fa. E se gli incauti ricercatori avessero contratto il virus? E se questo avesse portato allo scoppio di un’epidemia anche in Europa? Saremmo stati in grado di fronteggiare una catastrofe di tale portata?

Oggi ne sappiamo di più e grazie a tecniche all’avanguardia sappiamo come proteggerci dal pericolo immediato, ma una cosa è certa: cercare di capire ciò che sta accadendo è l’arma migliore per fronteggiare il virus e combattere la paura. Con questo articolo speriamo di aver dato anche noi un piccolo contributo.

 

Marta Crivellari, Emma Pignacca, Francesca Rossi, Chiara Tognasso, Francesca Valesi

Esperimento filmato: l’implosione di una lattina

Quanto è grande la pressione esercitata dall’atmosfera della Terra? Scopriamolo!

Cosa serve:

  • una lattina vuota di bibita
  • acqua
  • piastra elettrica riscaldata o fornello
  • pinza o guanti da forno
  • un contenitore largo

Ora che si fa?

Riempiamo una lattina vuota con 1-2 cm d’acqua. Mettiamo la lattina a scaldare sulla piastra e portiamo all’ebollizione. Facciamo bollire vigorosamente l’acqua per alcuni minuti. Togliamo la lattina dal fornello e la capovolgiamo in un recipiente d’acqua fredda.

Vuoi vedere che succede? Guarda il nostro video!

 

Come “funziona”?
Prima del riscaldamento, la lattina conteneva acqua e aria. Quando viene portata ad ebollizione, l’acqua passa dallo stato liquido a quello di vapore. Il vapore acqueo spinge l’aria contenuta inizialmente nella lattina verso l’esterno, nell’atmosfera. Quando la lattina viene capovolta nel recipiente con acqua fredda, il vapore acqueo condensa e ritorna allo stato liquido. Le molecole d’acqua allo stato liquido sono molto più vicine rispetto a quando si trovano allo stato di vapore. Tutte le molecole di vapore acqueo che riempivano l’interno della lattina si trasformano in una goccia o due d’acqua, occupando così uno spazio minore (si crea un vuoto parziale). Questa piccola quantità d’acqua non può più esercitare una pressione sulle pareti della lattina, così la pressione dell’aria che preme sull’esterno della lattina è abbastanza grande per schiacciarla. L’improvviso collasso di un oggetto verso il suo centro che si verifica quando la pressione esterna, che agisce sulle pareti di un corpo cavo, è superiore alla pressione interna al punto da provocare il cedimento delle pareti è chiamato implosione.

 

Davide Boccalini, Federico Delmonte, Giorgia Orlandelli, Alberico Rastelli, Serena Santoriello