Da studi sulla magnetosfera emerge che il campo magnetico terrestre si sta indebolendo; tra gli scenari possibili c’è una imminente inversione dei poli magnetici del nostro pianeta. Quali conseguenze potrebbe avere questo fenomeno sulla vita degli abitanti della Terra?
La Terra ha un campo magnetico. Questo campo energetico è simile a quello che genererebbe un magnete posto nel centro del nostro pianeta, con asse inclinato di 11,5° rispetto all’asse di rotazione terrestre. I poli magnetici terrestri, quindi, non coincidono con quelli geografici e non sono statici.
Il campo geomagnetico estende la propria influenza per centinaia di migliaia di chilometri nello spazio intorno alla Terra, generando uno scudo magnetico chiamato magnetosfera che, insieme all’atmosfera, svolge una funzione protettiva nei confronti delle particelle ionizzate emesse dal Sole (vento solare). L’interazione tra il vento solare e la magnetosfera produce numerosi effetti, come ad esempio l’aurora polare.
Il magnetismo terrestre ha una notevole importanza per la vita sulla Terra: grazie alla magnetosfera, la maggior parte dei raggi cosmici e di tutte le particelle cariche vengono deviate e non arrivano al suolo. Se queste particelle raggiungessero in massa la superficie causerebbero l’insorgenza di malattie gravi, come ad esempio i tumori alla pelle.
Il campo magnetico terrestre subisce periodiche inversioni di polarità, in cui la posizione dei poli magnetici si inverte. Queste inversioni lasciano tracce nelle rocce e nell’orientamento dei minerali ferromagnetici contenuti nelle suddette.
Negli ultimi 76 milioni di anni i poli si sono invertiti almeno 171 volte!
L’ultima inversione si è verificata circa 786000 anni fa.
Attualmente, ci sono due ipotesi principali riguardo le modalità l’inversione dei poli magnetici terrestri: una sostiene che l’inversione debba avvenire in tempi molto dilatati (e perciò ritiene questo fenomeno di scarso interesse per l’uomo); l’altra, invece, asserisce che l’inversione debba avvenire in tempi brevi, circa un secolo.
All’interno di un’ampia investigazione scientifica, di importanza internazionale, sulle proprietà paleomagnetiche di rocce sedimentarie – che non provengono da territori distanti migliaia di chilometri dal nostro Paese, ma che sono state deposte sul fondo di un antico lago e ora affiorano in superficie nel bacino di Sulmona, in Abruzzo – il Dottor Biagio Giaccio (a sinistra nella foto) ed altri ricercatori hanno fatto importanti scoperte sulla modalità di inversione del campo magnetico terrestre. Gli esperimenti sono stati eseguiti nei laboratori dell’INGV di Roma, nel Berkeley Geochronology Center in California ed in una delle sedi del CNRS in Francia.
Lo studio ha evidenziato che l‘inversione del campo magnetico terrestre è un fenomeno che non avviene ad intervalli di tempo regolari, ma si completa in un lasso di tempo relativamente breve (meno di un secolo).
Si ipotizza inoltre che tra non molto si assisterà ad una inversione del campo magnetico. Questa teoria è avvalorata dal continuo studio della magnetosfera del nostro pianeta: il campo magnetico terrestre si sta indebolendo e ciò significa che qualcosa, a livello dei Poli, sta cambiando.
Abbiamo chiesto al Dottor Biagio Giaccio di aiutarci a comprendere meglio questo complesso fenomeno e le sue possibili conseguenze. Ecco i tratti più salienti dell’intervista che ci ha concesso.
Perché la ricerca è stata condotta proprio sul territorio di Sulmona?
La ricerca è stata condotta sulle rocce del Bacino di Sulmona poiché in questa zona si possono osservare rocce in affioramento di una certa antichità; inoltre il bacino è un bacino “tettonicamente” attivo, ovvero è soggetto a movimenti dovuti alle faglie che lo delimitano. Questi movimenti provocano il sollevamento di strati rocciosi ricchi di indicazioni sul campo magnetico terrestre. Studiando la datazione e il microcampo magnetico dei minerali presenti all’interno delle rocce sedimentarie del bacino, orientati in base al campo magnetico terrestre presente al momento della sedimentazione, è possibile studiare l’evoluzione del campo magnetico terrestre e i fenomeni associati alla sua inversione. Non sempre queste misurazioni sono di grande qualità; invece, in questo caso, i paleomagnetisti, ossia gli specialisti, si sono trovati davanti una bella occasione per studiare in grande dettaglio la dinamica dell’inversione. Un altro fatto che rende questa successione di rocce sedimentarie molto interessante, e diversa dalle altre, è la possibilità di datare con grande precisione le rocce che la costituiscono, e quindi determinare i tassi di sedimentazione di questi sedimenti carbonatici, perché al loro interno si rinvengono ceneri provenienti dall’attività esplosiva degli apparati vulcanici laziali, che contengono al loro interno dei cristalli ricchi di potassio che possono essere datati con il metodo radioisotopico del potassio-Argon e dell’argon40-Argon39 (geocronometri); questo ci dà una precisa indicazione dell’età dei sedimenti. Inoltre, i sedimenti lacustri di Sulmona si trovano in affioramenti molto estesi per cui, per studiarli, non è stato necessario effettuare carotaggi che, tra i parametri paleomagnetici, avrebbero consentito di studiare solo l’inclinazione magnetica. In affioramento è stato invece possibile studiare anche l’orientamento del campo attraverso la misurazione della declinazione magnetica, ossia l’angolo che forma il Nord magnetico rispetto al Nord geografico. Queste sono quindi le caratteristiche che ci hanno spinto a studiare proprio questo bacino.
Come avviene il processo di datazione delle rocce?
Il processo di datazione delle rocce avviene grazie alla misurazione della percentuale di Potassio40 rispetto all’Argon40, elemento in cui decade. Esistono vari cronometri geologici ma in questo particolare contesto la scelta dell’elemento Argon come riferimento è stata pressoché obbligatoria, in parte dall’età molto avanzata delle rocce (tutti i metodi che sfruttano il decadimento di un elemento per datare una roccia hanno un limite che coincide con il tempo impiegato dall’elemento padre a decadere totalmente nell’elemento figlio, in questo caso rispettivamente Potassio ed Argon, con un tempo massimo di circa 1.3 miliardi di anni), in parte dall’ampia presenza di cristalli di Sanidino, minerale contenente Potassio.
Sono state individuate conseguenze dell’inversione avvenuta 786 mila anni fa sugli esseri viventi e sul pianeta? Quali potrebbero essere le conseguenze oggi, considerando tutti i progressi tecnologici raggiunti dall’uomo “moderno”?
Sugli effetti riguardanti vita ci sono stati vari studi a partire dagli anni ’80, uno degli effetti potenzialmente più dannosi sta nel fatto che la magnetosfera forma una specie di scudo in modo tale da protegge la terra da raggi cosmici e particelle cariche, soprattutto protoni elettroni che derivano in particolar modo dall’attività solare o dal cosmo in generale, e queste particelle dal punto di vista delle nostre infrastrutture moderne ,come è noto, possono creare danni anche significativi ai sistemi, per esempio, delle reti di telecomunicazione. Per quel che concerne la vita uno degli effetti più drammatici, secondo alcuni, è legato al fatto che in prossimità di un’inversione del campo magnetico terrestre è sempre associato un forte calo di intensità, questo favorisce la penetrazione delle particelle cariche e uno degli effetti più deleteri è che questo possa innescare una lunga serie di reazioni chimiche a livello dell’atmosfera che determina una diminuzione dello strato di ozono, e questo indebolito favorisce la penetrazione dei raggi ultravioletti che, è noto, sono fonte di una serie di malattie, ad esempio il cancro. C’è addirittura un lavoro molto recente che metterebbe in relazione l’estinzione dell’uomo di Neanderthal di 40000 anni fa con un picco marcato dell’intensità del campo magnetico di quello stesso periodo.
Ci sono riscontri di studi “simili” in altre parti del pianeta?
Questi studi sono in continuo progresso e sono eseguiti in varie parti del mondo, per esempio in alcuni sedimenti in Cina. Principalmente, però, queste ricerche sono condotte su lave o sedimenti marini; mentre i sedimenti marini non hanno “età assolute”, ma vengono datati in base a “modelli”, la datazione ottenuta a Sulmona è invece molto più rigorosa e “modellata”, quindi più “interessante” dal punto di vista della ricerca scientifica.
In futuro, si proverà a duplicare gli studi anche in altre zone dell’Appennino.
Quali sono le cause dell’inversione dei Poli Magnetici terrestri?
Nessuno conosce le reali cause di questo fenomeno: l’argomento è, ad oggi, oscuro. Esistono diverse teorie. A differenza del campo magnetico solare, che si inverte con una periodicità fissa, l’inversione dei poli magnetici terrestri è un fenomeno totalmente aperiodico. Esistono vari modelli e teorie, ma nulla di accettato universalmente. Il fenomeno è legato alle correnti elettriche che esistono all’interno del nucleo fluido della terra, che interagisce con la sua parte più interna, quella solida, entrambe formate da metalli.
Se mi recassi a Sulmona, potrei riconoscere visivamente le rocce adatte a questo studio (da “profano dell’argomento”)?
Nei territori circostanti Sulmona vi sono varie colline, coperte di sedimenti biancastri, meglio visibili dove le rocce sono “spaccate”. Questi sedimenti contengono alte percentuali di carbonato di calcio che deriva dalla produttività biologica di alghe che vivono all’interno del lago.
Le altre sedimentazioni sono composte invece da argilla. Dal punto di vista paleomagnetico non è possibile riconoscere visivamente le rocce utili allo studio: servono studi più specifici.
Inoltre, un solo minerale, tra i vari sedimenti, ha mantenuto la magnetizzazione originale ed utile allo studio: si tratta di una magnetite “autoctona” del luogo.
Generalmente, però, di fronte a questi sedimenti, si intuisce subito la loro importanza a livello scientifico: essi formano infatti successioni omogenee e “facilmente” studiabili.
Su questi stessi sedimenti si stanno conducendo altri studi, di tipo climatico.
Martino Cremona, Pier Palo Ferrari, Riccardo Rigoni, Francesco Visintin